La quindicesima edizione della Settimana della Salute Mentale di Modena ci invita a
riflettere su un tema che accompagna da sempre la storia dell’umanità: l’accoglienza.
Accogliere significa aprire uno spazio sicuro all’altro, riconoscere un volto, un bisogno, una
fragilità. Già nelle culture antiche, l’accoglienza dello straniero era sacra: si pensi a Odisseo
ospitato da Alcinoo nell’Odissea, o alla tradizione biblica che invita ad accogliere il
forestiero come se fosse uno di noi. Secondo il filosofo Jacques Derrida l’ospitalità deve
rappresentare un ideale etico e non una scelta accessoria: si tratta di una condizione che mette
in dubbio la nostra stessa identità in quanto l’altro non viene accolto come semplice “ospite”
temporaneo, ma come soggetto che mette in discussione chi siamo, le nostre regole, le nostre
abitudini.
Sul piano sociale, l’accoglienza è ciò che rende possibile la convivenza: significa trasformare
la paura della diversità in occasione di crescita. È il gesto che fonda le comunità, che
costruisce legami e riduce le distanze. Sul piano sanitario, l’accoglienza è la base della cura:
nessun percorso di salute mentale può esistere senza ascolto, fiducia e riconoscimento. Come
ricordava Franco Basaglia, «la libertà è terapeutica», e la libertà nasce sempre da un atto di
accoglienza che attribuisce responsabilità e diritti sia a chi accoglie sia a chi è accolto.
Ma quest’anno non possiamo fermarci a una riflessione astratta. L’accoglienza oggi si
confronta con le ferite del presente che incidono profondamente sulla salute mentale delle
popolazioni: le guerre e le stragi che stanno devastando popoli e terre. Parlare di accoglienza
significa allora parlare di rifugiati, di chi fugge dalla violenza, di chi chiede di essere
riconosciuto come persona di pari dignità. Accogliere, in questo contesto, significa opporsi
alla logica dell’odio e della distruzione, dell’annientamento dell’altro.
E non basta. Dobbiamo guardare anche avanti. La crisi climatica, di cui già oggi vediamo le
conseguenze, porterà migrazioni, povertà, nuove diseguaglianze. Anche se tendiamo a negare
questa idea, la migrazione, come ci insegnano gli antropologi, è da sempre connaturata alla
nostra specie. Le generazioni future erediteranno non solo un pianeta più vulnerabile, ma
anche la necessità di inventare nuove forme di convivenza. La nostra specie è riuscita a
progredire grazie alla costruzione di reti sociali, reti di identità molteplici che si sono
sovrapposte con il trascorrere del tempo. Il futuro sarà caratterizzato da migrazioni e
l’accoglienza, dunque, non è oggi e non sarà domani solo un dovere etico o sociale: sarà
l’unica “strategia di sopravvivenza per l’umanità”.
Il pensiero di Hannah Arendt ci ricorda che la politica nasce quando gli esseri umani siedono
insieme e si parlano, cioè quando si accolgono reciprocamente nello spazio comune. E oggi
autori come Amartya Sen e Martha Nussbaum ci mostrano che la dignità, le capacità e i
diritti non si difendono in astratto, ma si costruiscono a partire dall’accoglienza concreta di
bisogni e diversità.
Ecco perché “l’accoglienza” non è solo un atto di gentilezza: è un atto rivoluzionario, che
riguarda la salute delle persone e la salute delle comunità. Ed è inseparabile dai temi che
segnano la nostra epoca: la pace, il cambiamento climatico, la possibilità di dare alle nuove
generazioni in eredità non la paura ma un orizzonte di speranza.
Per questo oggi vogliamo lanciare un messaggio forte e semplice: abbiamo bisogno di Pace
per la Salute Mentale.
Pace nelle relazioni fra i popoli, pace nelle comunità, armonia nel rapporto con l’ambiente.
La salute mentale non può essere pensata come un fatto privato o puramente clinico: è legata
ai contesti sociali, politici e ambientali in cui viviamo.
Se vogliamo davvero prenderci cura della salute mentale, dobbiamo prenderci cura della
pace, dell’ambiente e dell’accoglienza reciproca. Non c’è salute senza pace, non c’è pace
senza giustizia, non c’è futuro senza ambiente.
E allora da Modena, dalla Settimana della Salute Mentale, il nostro invito è questo: ritrovare
insieme le parole della convivenza, del rispetto, dell’accoglienza e della responsabilità
reciproca.
Solo così la ragione potrà tornare a guidare l’istinto, e le nuove generazioni non erediteranno
soltanto problemi, ma anche speranza.
Donatella Marrama
Direttrice DSMDP, AUSL Modena


