di Radio LiberaMente
Cipriano a La Fonte, come introduce il suo libro “Basaglia e la metamorfosi della psichiatria” che ha già più volte presentato per l’Italia che vuole ricordare La Legge 180, di cui ricorrono i 40 anni e che, come disse Bobbio, rappresenta l’unica vera Riforma in Italia perchè ha restituito diritti a cittadini a cui erano stati negati ?

Intanto partecipa all’inaugurazione del nuovo murales del Collettivo FX, che riveste la facciata di questo edificio rurale divenuto luogo d’incontro di una associazione, Insieme a Noi, che si prende cura dei problemi delle famiglie e degli utenti, aperta a volontari. Il tema rappresentato è quello di Marco Cavallo, l’azzurro cavallo uscito dal manicomio di Trieste negli anni ’70, e che vigoroso più che mai galoppa fino qui, alla Bruciata di Modena, e pare proteggere da una pioggia incessante di capsule medicinali le persone che si riparano sotto di lui.
Infatti Piero Cipriano è famoso soprattutto per un volume del 2015 : Il manicomio chimico, facente parte della “Trilogia della riluttanza”. Sì perchè Cipriano si identifica con la categoria dello ”psichiatra riluttante”, non si ritiene un purista che si mantiene lontano da SPDC e psicofarmaci, ma seguendo la lezione di Basaglia, vuole cambiare l’atteggiamento iatrogeno della psichiatria invischiata nella diade Diagnosi- farmaco, dal di dentro, accanto ai sofferenti, denunciare, essere sentinella perchè non si riproduca il meccanismo di repressione del sintomo e controllo sociale che ha creato nella storia il sistema manicomiale.

Nella prima parte del libro troviamo infatti una sintesi di quella che fu La Storia della Follia raccontata da Michel Foucault, che non era psichiatra, ma, facente parte di una minoranza, ha saputo individuare molto bene le strategie dell’emarginazione dei devianti dalla normalità e a formalizzare lo studio della Biopolitica, che era un tema trattato già da Nietzsche, individuando la volontà di potenza dell’individuo come problema per la politica statale.
Il controllo e il governo dei corpi, il loro sviluppo e moltiplicazione è sempre stato oggetto d’attenzione da parte dei poteri religiosi, politici, economici, con derive spesso totalitarie. Ora più che mai, dopo la globalizzazione, nell’era post-post moderna, abbiamo così interiorizzato l’obbligo a essere sani e performanti, che non occorrono misure coercitive, come se fossimo in presenza del Panocticon progettato da Barklej nel 1790 (un carcere controllabile da un’unica guardia), la possibilità di essere visti ci induce a comportamenti pro-attivi socialmente condivisibili allettati dai “like”come premio.

Cipriano vuole indurci alla rabbia, come i primi psichiatri che han messo fuori legge i manicomi, e per fare questo si propone e propone i pazienti come narratori, così come faceva Franco, ma io dico anche Franca e i loro collaboratori.
Riguardo al mandato di questa “radiocronaca” non mi sento di aggiungere altro che non abbia detto così  professionalmente Laura Solieri che ha anticipato sul blog di Màt la presentazione del libro, ma se mi è concesso, vorrei poter fare qualche considerazione personale su immagini e temi ricorrenti emersi da questo Màt: l’importanza della Narrazione come azione di cura e autocura, la derivazione di un filo da una matassa, attorcigliata e lassa, che pazientemente viene avvolto attorno se stesso per formare un gomitolo; è una frase letta da Duccio Demetrio nel seminario sull’autobiografia. Essa mi ha ricordato irresistibilmente l’aneddoto raccontato da Alberta Basaglia del tempo e della sapienza tutta femminile che dedicava con sua madre Franca a dipanare matasse per gomitoli con cui sua madre faceva maglioni con una tecnica tutta sua senza cuciture invidiati dalle altre mamme.

Questo per dire che narrare ci riporta a momenti originari della nostra vita, che le mamme oltre il corpo ci danno il linguaggio, che raccontare e raccontarsi prevede un altro che ascolta/legge e svolge il filo del discorso, che intrecciando i fili si fa una tela che può essere la storia della comunità, che l’arte della maglia e dell’economia del dono prevede che un maglione che non sia più di misura o non ci piaccia più, possa essere disfatto, il gomitolo riavvolto e… si racconta diversamente la storia, con altre tinte e forme.
Attenzione però, perchè lo storytelling è molto utilizzato dal marketing e dalle lobbies politiche, cerchiamo di notare come vengano attuate le parole;  in effetti Cipriano ci ha messo in guardia su quello che ha chiamato terricomio, facendo l’esempio del Lazio, dove lavora, in cui vi sono ad esempio 12 case di cura private che contengono 1/3 di tutti i letti d’Italia, che con gli appoggi giusti, sono riuscite a mistificare il loro carattere manicomiale inserendo nella loro descrizione la parola  “territoriale” che è sempre stata rappresentativa di un percorso di cura inclusivo e di libertà.
Un altro pericolo da evitare: la terapia dell’intrattenimento. L’autore si riferisce a un saggio di Benedetto Saraceno, uno psichiatra che ha lavorato con Basaglia e Rotelli, “La povertà della psichiatria”, e si discute dell’opportunità di certi interventi di tipo filantropico che si limitano a fornire attività laboratoriali senza consentire una vera negoziazione da parte degli utenti dei loro bisogni effettivi a partire dalla casa, di un lavoro vero, la partecipazione alle decisioni sul percorso di cura.
Questo discorso è molto pertinente ma il problema è sempre lo stesso: finché gli psichiatri non impareranno a diminuire al minimo la posologia degli psicofarmaci somministrati e il tempo di prescrizione e le persone con disagio ad assumersi un po’ di responsabilità per sottrarsi a questa dipendenza, sarà solo retorica parlare di soggettività e cittadinanza attiva da parte dei sofferenti psichici.