di Radio LiberaMente
Lunedì 22 Ottobre si è svolto presso l’Aula Magna della facoltà di Medicina di Unimore un importante convegno dal titolo La discriminazione delle persone con problemi di Salute Mentale.
Un tema, questo, veramente fondamentale per tutti coloro che soffrono di disagio psichico, raccontato da alcune competenti personalità, secondo le sue diverse sfaccettature e implicazioni. Spesso la discriminazione ed il pregiudizio che si insinuano prepotentemente nella vita di molti sofferenti psichici possono arrivare a costituire un altro grave problema per chi già non sta bene, limitandolo fortemente nel suo processo di recovery.
Tra i primi a prendere parola, il dott. Fabrizio Starace, il quale non ha mancato di ricordare ancora una volta l’enorme importanza della Legge Basaglia (di cui ricorre il quarantennale), la necessità di adoperarsi perché c’è ancora molto da fare (sempre avendo come punto focale l’interesse per la persona), nonchè il fatto che Modena sia, da questi punti di vista, uno dei centri con maggiore livello di inclusione a livello lavorativo, abitativo e socio-relazionale, di cui l’ormai mitica marcia di Màt può essere considerata un bellissimo esempio.
Successivamente è stata la volta di Gianfrancesco Zanetti, Direttore del Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità Unimore (CRID), il quale ha esposto un discorso introduttivo sul concetto di “vulnerabilità”, sottolineando in modo particolare il fatto che esistono beni dotati di valore proprio perché fragili e vulnerabili. Non sempre si è assistito a questa consapevolezza, un tempo, ad esempio, non era così. Pensiamo anche solo a come il soggetto del Diritto (letteratura del diritto, normativa) sia sempre un uomo sano di mente, razionale, autonomo. Dalla seconda metà del Novecento tutte le grandi dicotomie sono saltate, si è assistito ad una maggiore complessità delle distinzioni e alla nascita, quindi, del concetto di “vulnerabilità“.
Zanetti precisa che quando, ad esempio, parliamo di disabilità tendiamo a dividere nettamente in due gruppi, disabili e non. In realtà, questo modo di ragionare non è corretto, in quanto tutti, prima o poi, andiamo incontro a delle disabilità, magari anche solo per un breve periodo. Quando, nello specifico, si parla di Salute Mentale, bisogna prestare attenzione al dettaglio, non tutti i disagi sono uguali, occorre “ascoltare”, non anteporre i propri preconcetti.
Dopo questo intervento, è stata la volta della dott.ssa Claire Henderson, del Kings College di Londra, la quale si è soffermata, in modo particolare, sul concetto di “discriminazione strutturale“. La sua analisi dello stigma, di che cosa esattamente esso sia e, soprattutto, di quali siano i fattori che in qualche modo lo rinforzino, non ha tralasciato aspetti e sfumature a cui magari il senso comune non attribuisce un’immediata importanza.
Una riflessione che ci ha particolarmente colpito, infatti, ha riguardato le dinamiche dell’etichettamento, e di come per alcuni pazienti esso venga sostanzialmente introdotto con la stessa diagnosi. Gli operatori della Salute Mentale, se da un lato lottano per combattere lo stigma, dall’altro, con l’attribuzione agli utenti di specifiche diagnosi, potrebbero, in un certo senso, rinforzare un certo modo di pensare pregiudizievole. Henderson ha mostrato, attraverso proiezioni, un modello a quattro livelli relativo alle manifestazioni dello stigma, composto da “discriminazione strutturale” (per esempio leggi e procedure), “stigma e discriminazione istituzionale” (cultura organizzativa e copertura mediatica), “stigma interpersonale” (conoscenze, attitudini e comportamenti) e “l’auto stigma”.
Si, perché può capitare (causa educazione, credenze e altri fattori) che noi stessi siamo vittime di una sorta di stigma interiorizzato, destinato a condizionarci in modo significativo. Ci è stata poi mostrata la relazione tra discriminazione strutturale e coercizione, secondo un grande circolo vizioso che vede susseguirsi, a partire dalla stessa discriminazione strutturale, la cattiva qualità dei servizi, l’evitamento della richiesta di aiuto, l’elevata gravità al momento dell’intervento, la maggiore probabilità di un intervento coercitivo e lo stigma interpersonale. Tra gli interventi proposti contro la discriminazione strutturale si è parlato del ruolo della protesta, delle direttive che possono essere date alla stampa, dell’importanza fondamentale del contatto con persone con esperienza diretta, nonchè dell’attenzione che deve essere prestata anche in ambito commerciale.
Il dott. Antonio Lasalvia, il quale ha pubblicato svariate ricerche su discriminazione e stigma, ha introdotto il suo intervento sottolineando il fatto che lo stigma (definito da lui anche come “marchio”) sia in realtà di svariate tipologie (razziale, sessuale, religioso, fisico…) e di come, nell’ambito della Salute Mentale, esso possa diventare addirittura una sorta di seconda malattia (questa si, a volte, incurabile), anche quando il disturbo di base viene risolto. Tante possono essere le conseguenze della discriminazione, e può capitare, come nel caso della schizofrenia (Lasalvia lotta per la necessità di non utilizzare più questo termine, foriero di tanti preconcetti fuorvianti e scientificamente poco corretti), che si possa verificare nell’individuo una sorta di “discriminazione anticipata”.
La persona con disagio psichico, ad esempio, potrebbe evitare determinate azioni o esperienze perchè già pensa verrà discriminato. Per ridurre lo stigma, secondo Lasalvia, è necessario agire attraverso la riduzione del cosiddetto “Effetto barriera” (distinzione dicotomica fra “noi” e “loro”) e gli interventi sulle “disuguaglianze di potere”. Riguardo al primo aspetto è fondamentale intensificare, ad esempio, le occasioni di contatto, l’integrazione sociale e le campagne informative, concentrandosi fortemente sull’interazione fra “escludente” e “escluso”. Il secondo obiettivo può essere raggiunto, tra le altre cose, attraverso la difesa e la promozione dei diritti di persone con disagio, il favorire modalità di empowerment, sviluppare la capacità di riequilibrare bisogni e diritti. Lasalvia ci ha inoltre fornito uno spunto di riflessione importante, spiegandoci come secondo l’attuale paradigma biomedico le patologie psichiatriche siano sostanzialmente ricondotte a malattie del cervello. Tale messaggio si è diffuso ampiamente ma, se è vero che teoricamente ciò avrebbe dovuto diminuire lo stigma (riducendo, ad esempio, il senso di colpa), nella realtà questo non si è verificato, poichè si sono innescati pregiudizi sull’imprevidibilità, la pericolosità e l’incurabilità. Il dottore è stato poi molto chiaro nello specificare l’importanza del concetto di recovery, ponendo particolare enfasi sulla necessità di una consapevolezza maggiore di desideri, ambizioni e progetti sul futuro delle persone con disagio. É necessario inoltre concentrarsi sugli interventi mirati da mettere in pratica, attraverso contatti diretti, la de-criminalizzazione dei disturbi mentali, l’educazione accurata degli operatori sanitari e sociali e un’attenzione particolare contro un eccesso di medicalizzazione.
E’ stato molto utile ed esplicativo anche l’intervento di Giorgia Origliani, vicepresidentessa dell’Associazione Insieme a noi, la quale ha sottolineato, tra le altre cose, il senso di colpevolizzazione e vergogna che può interessare chi è oggetto di pregiudizio, e il conseguente progressivo isolamento, a volte più invalidante della malattia stessa. Discriminazioni che, come affermato anche dalle personalità precedenti, riguardano soprattutto l’imprevidibilità e la pericolosità sociale. In questo, afferma Origliani, non sembrano esserci stati grandi cambiamenti neppure dopo la Legge Basaglia, anche perchè il tutto viene rinforzato pure dai media. Ultimo ad intervenire è stato un volontario dell’associazione, Lorenzo, che, seppure un po’ emozionato, è stato chiarissimo nello specificare il fatto che, secondo la sua opinione, i farmaci da soli non possono bastare nella cura di questo tipo di malattie e la grande importanza che, in questo senso, assume l’inclusione sociale. Purtroppo non c’è stato molto tempo per le domande da parte degli uditori (molti erano studenti di medicina), anche se alcuni hanno potuto comunque prendere la parola ed esternare propri commenti e riflessioni, connotando l’incontro di una maggiore informalità. Noi di Radio LiberaMente siamo molto soddisfatti che si sia data molta importanza a discorsi sull’inclusione e sui rapporti sociali, che in fondo sono stati forze propulsive fondamentali per la nascita della nostra realtà.