di Anita Eusebi
“Tutte le persone affette da problemi di salute mentale hanno il diritto, in qualsiasi fase della loro vita, di essere autonome, di assumersi responsabilità e intervenire nelle decisioni che influiscono sulla loro vita, salute mentale e benessere”: è in questi termini che il Piano d’Azione Europeo per la Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di empowerment, posto tra i valori di riferimento del piano d’azione. E invita gli Stati Membri a “creare e/o individuare meccanismi che consentano alle persone affette da problemi di salute mentale di partecipare alla progettazione, esecuzione, verifica e valutazione delle politiche e dei servizi per la salute mentale”, sottolineando per esempio come “in alcuni casi sono gli utenti stessi e i loro familiari a sapere meglio come destinare le risorse in modo efficace ed efficiente e ciò rafforza il loro ruolo”.
Di questo si parlerà in occasione del convegno Empowerment dei pazienti nelle scelte di politica sanitaria che si terrà il prossimo 24 ottobre a Modena nel corso di Màt 2016 – Settimana della salute Mentale, ossia dell’importanza del protagonismo attivo e consapevole degli utenti, della loro contrattualità sociale, del necessario e pieno riconoscimento del loro sapere esperienziale.
Tra gli ospiti, Marco Goglio, Direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria di Saronno e autore dei libri Dottore, non sono di psichiatria! Consapevolezza di utenti con disagio psichico che raccoglie le parole e le emozioni di chi è portatore di una sofferenza non facile da raccontare, e Quando 1+1 fa 3. La psichiatria nella logica del fareassieme raccontata da operatori, utenti, familiari e volontari, dove successi e insuccessi di pazienti e familiari si affiancano al lavoro degli operatori in una ricerca comune di promozione del “ben-essere”. Il suo intervento racconterà in particolare l’esperienza degli Esperti in Supporto tra Pari (ESP) come esempio virtuoso di empowerment individuale e di comunità.
Ma chi sono gli ESP? «Gli ESP, detti anche facilitatori sociali o peer supporter, sono persone che hanno attraversato un disagio psichico, successivamente hanno iniziato un percorso di consapevolezza, di ben-essere e di empowerment con le proprie problematiche e sono ora disponibili ad affiancare altre persone in difficoltà, ossia a offrire il proprio “sapere esperienziale” nell’assistenza e nel contatto con altri utenti», spiega Goglio. «Diventare un ESP è una scelta che implica coraggio: attraverso cioè un corso di formazione professionale trasformano il proprio vissuto personale e faticoso di “malattia” in una risorsa che noi chiamiamo propriamente “supporto tra pari”. Diventano così persone con competenze “per esperienza” che arricchiscono la relazione fra utenti e medici poiché l’ESP ha un alto grado di empatia che deriva dalla consapevolezza di sé e dal proprio percorso di sofferenza, ha grande sensibilità e ha rispetto verso l’altro e soprattutto comprensione verso le esigenze dell’utente».

Gli ESP dunque offrono servizi negli ambiti socio-assistenziale, educativo, socio-sanitario, formativo e culturale, affiancando i Dipartimenti di Salute Mentale, le associazioni di utenti e familiari, le cooperative del territorio e collaborando all’inserimento attivo nella vita sociale di persone con disagio psichico. «L’ESP non si sostituisce certamente all’operatore – puntualizza Goglio – ma non è neppure un volontario. Il servizio prestato si configura come lavoro ed è mediato e retribuito da una cooperativa di riferimento. Nel territorio e nei DSM lombardi ci sono circa 100 ESP, presso realtà sia pubbliche che private. Ciò porta nei Servizi a un cambiamento di qualità (poiché il supporto tra pari offre un miglioramento e una sorta di umanizzazione delle cure) e alla co-produzione (perché i Servizi coinvolgono attivamente utenti e familiari nel lavoro di progettazione), dunque al fareassieme (UOP, familiari, utenti e volontari). Un esempio è stata la creazione della Rete Utenti Lombardia, nata nel 2014, per la promozione e il miglioramento dell’inclusione sociale, il confronto critico su tematiche locali e nazionali, l’organizzazione di eventi».
Tutto ciò, chiaramente, è proprio di un servizio orientato alla recovery: «Si passa dal paternalismo dei servizi all’auto-determinazione del paziente, dall’istituzione che decide ogni cosa alle decisioni assunte con responsabilità e in autonomia, dalla gestone della cronicità come scopo dei servizi al riprendersi la propria vita come filosofia della recovery e finalità del paziente. Il protagonismo dunque si sposta in modo sostanziale dal professionista alla persona con disagio mentale».
Ma quanto è dipendente l’ESP dall’operatore e quanto invece riesce a muoversi in autonomia? Quanto sono realmente autonome le associazioni di utenti? Qual è il bilancio complessivo tra i vantaggi e la fatica del cambiamento? Gli operatori riescono davvero a non sentire “scomoda” la presenza dell’ESP? Queste sono solo alcune delle numerose domande che restano aperte su criticità non di poco conto, di cui si discuterà in maniera più approfondita al convegno. Resta al tempo stesso solido e indiscutibile il fatto che “l’unica premessa a una possibilità di cura per la malattia dell’uomo è un rapporto diverso, soggettivo, partecipato nella vita e, quindi, nella malattia”, come scriveva già decine di anni fa Franca Ongaro Basaglia, in Salute/malattia. Le parole della medicina.